Far causa per mobbing: in quanti, stanchi delle continue vessazioni subite sul luogo di lavoro, stanno seriamente considerando di intraprendere questo percorso legale?
Prima di trascinare in tribunale i propri superiori, i colleghi e chiunque altro però torna utile documentarsi sul mobbing e sull’iter burocratico necessario per citare in giudizio chiunque si macchi di questo odioso reato.
Mobbing: definizione
Il mobbing è, in linea di massima, un insieme di maltrattamenti e vessazioni che il dipendente subisce dal datore di lavoro o da un suo diretto superiore. Perché tali comportamenti possano essere giudicati lesivi dei propri diritti, il malcapitato di turno dovrà poter provare di averli subiti per un periodo prolungato di tempo, circa 6 mesi consecutivi, e che essi abbiano in qualche modo minato la sua sicurezza professionale e la sua immagine. Rientrano nel mobbing quindi le umiliazioni, le esclusioni immotivate dal contesto aziendale e tutti quegli atti volti ad ostacolare la carriera.
Il datore di lavoro che mobbizza un dipendente si riconosce per l’adozione di comportamenti eccessivamente severi ed autoritari, non è avaro di minacce e rimproveri spesso del tutto gratuiti, compie sabotaggi che impediscono al lavoratore di portare a termine le proprie mansioni, costringe lo stesso all’inattività oppure ancora a svolgere incarichi degradanti.
Esiste anche un mobbing a distanza, che avviene quando il lavoratore dipendente si trova a casa per malattia. Il sito https://www.avvocatofacile.it scrive a riguardo che “il dipendente a casa in malattia non deve lavorare ma non è tenuto neppure, lo hanno confermato diverse sentenze, ad essere reperibile a chiamate, email etc da parte di colleghi o del capo.”
Tipologie di mobbing
Sin qui però si è parlato della forma più classica, per così dire, di mobbing, quello ribattezzato dagli esperti come verticale o strategico. In realtà esistono altre tipologie di persecuzione e lesione dei diritti altrui altrettanto violente e gratuite perpetrate ancora sul luogo di lavoro. Distinguiamo quindi, oltre al mobbing verticale altre tre tipologie di reato: il quick mobbing, il mobbing orizzontale ed il mobbing dal basso.
Nel primo caso perché la vessazione venga riconosciuta come tale basta un unico episodio di maltrattamento violento e destabilizzante: decade quindi il limite temporale dei 6 mesi.
Il mobbing orizzontale invece riguarda colleghi idealmente posti sullo stesso piano della gerarchia professionale e che bullizzano, per così dire, un dipendente perché mossi da invidia o da un eccessivo senso della competizione.
In ultimo il mobbing dal basso, forse il più raro in assoluto, vede una coalizione di dipendenti che maltratta il capo sino ad isolarlo ed a svalutarne del tutto la persona.
Mobbing: quali danni produce al soggetto?
Il mobbing, non è difficile intuirlo, arreca lesioni emotive, professionali ed economiche alla persona che lo subisce. Tuttavia la legge distingue, molto più semplicemente, fra danni patrimoniali e non patrimoniali.
Nel primo caso rientrano tutte le ingiurie e le vessazioni tradottesi in privazioni monetarie ed esborsi di vario tipo. Un esempio? L’improvvisa assegnazione di mansioni degradanti che si traduce inevitabilmente in un calo dei guadagni mensili. Nell’alveo dei danni patrimoniali rientrano quindi il danno da demansionamento, quello appena descritto, il danno da licenziamento illegittimo, il danno emergente, ossia quello causato dalla necessità per il dipendente di sostenere delle spese per curare ripercussioni fisiche e psicologiche relative ai trattamenti subiti, ed i danni da lucro cessante, ossia dalla mutata produttività del dipendente.
Causa per mobbing
Il lavoratore mobizzato intenterà causa sempre al datore di lavoro, anche nel caso in cui non sia lui a maltrattare il dipendente. Ciò avviene perché firmando il contratto di lavoro questi si impegna a garantire ai suoi sottoposti un ambiente di lavoro sano.
Chiaramente, per ottenere qualcosa, occorre procurarsi delle prove di quanto si afferma. In particolare si suggerisce di raccogliere testimonianze di terze persone e documenti che attestino in qualche modo i maltrattamenti subiti.
A questo punto non resta che contattare un avvocato che istruirà la pratica per il processo. Quest’ultimo durerà in media dai 12 ai 36 mesi. Le spese processuali da sostenere saranno proporzionate all’entità del risarcimento richiesto.